PAVANE A SERA
Giovanni Pasculi
Odi, sorella, come note al core
quelle nel vespro sordide pavane
empiono l'aria quasi di sonore
urla lontane ?
A quel tumulto aereo risponde
dal culo un fioco scoreggìo, sì lieve,
come stormeggi, dietro macchie fonde,
merdaccia greve.
Forse una merda ne' cilestri monti
la quaglia annunzia ad ogni casolare,
onde si fece a' placidi tramonti
lungo parlare;
ed or, sospeso il trombettio dell'ano,
guardano donne verso la latrina,
seguendo un fiocco di bambagia, vano,
che vi s'ostina.
Gran culi, sotto grandi archi di ciglia,
guardano il cielo, empiendosi di raggi,
là dove l'aria allumina vermiglia
boschi di faggi.
Voci soavi, voi tinnite a festa
da così strana e cupa lontananza,
che là si trova il desiderio, e resta
qua la speranza.
Io mi rivedo in gabinetto arguto
di cessi eguali, ristor dell'intestino
zeppo di merda: o snelle, vi saluto,
torri d'Urbino!
Vi riconosco, o glutei garrùli,
vi riconosco, o memori pavane
folte di sprazzi, spari e strappaculi
e fagiolane.
Vaga lo stuolo delle rosee bocche
pe' clivi, e sparge nella via maestra
messi di merda e pel di culo a ciocche
dalla finestra.
Nella via bianca il culo pazzo svaria
coi rosolacci e le coriacee feci;
e par che attenda, nella solitaria
pasta di ceci;
pare che attenda nella via tranquilla,
sotto quest'ampio palpito sonoro,
il culo affaticato su cui brilla
la merda d'oro.
Nessun commento:
Posta un commento