Con questo importante articolo si vuole porre fine all’annosa diatriba circa l’assegnazione del lemma “culo” tra i termini vernacolari e postribolari e connotarlo quindi come “parolaccia” o se invece consentirne l’uso indiscriminato e privarlo di ogni limitazione e ascriverlo all’uso comune. Va ricordato che la questione venne posta in anni non sospetti dal Fraudolento (Ondestorte del 14 novembre 1985) e diede luogo alla lunga dispora letteraria tra i Culisti (corrente di linguisti che sostengono l’assoluta liceità del vocabolo “culo” e lo vorrebbero ascritto alle parole d’uso comune e consentito, anzi, incentivato) e i Condannisti (ovvero coloro che condannano la parola culo come “depravata ed orribile” e quindi impronunciabile nel dialogo ordinario in quanto vera e propria parola immonda, sozza e volgare e quindi parolaccia). Va segnalata la posizione moderata dei Culo-limitazionisti, che consentirebbero l’uso della parola culo ma ne proibirebbero invece le locuzioni implicative a carattere di ivettiva o di insulto cone “faccia da culo” “ti rompo il culo” o anche il diffusissimo “vaffanculo”, nonchè il più geograficamente circoscritto “va a dar via il culo”.
Per risolvere il problema si è posta la domanda all’Accademia della Crusca, nella persona del suo Vescovo, Card. Pippo Baudo, un sosia di Mr. Bean in borghese che svolge funzioni di infiltrato nell’Accademia della Cresta, nell’Accademia della Frusta e nell’Accademia della Loffa. La nostra domanda si estende logicamente anche a tutti i termini derivati da culo come culista, culattone, culattiere, culaccio, culetto, culone, culissimo, culandro e culàio, nonchè al termine culo associato ai tipici aggettivi come “culo rotto”, “culo marcio”, “culo esagerato”, “culo spanato” ecc ecc e alle frasi idiomatiche “di culo”, “a culo” “in culo” e “per il culo”. Siamo in attesa di risposta…
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